Il tuo carrello è attualmente vuoto!
Published by
on
Per definizione, l’industria della moda, come tutte le industrie, è incentrata sul profitto. Profitto, profitto, e ancora profitto. Profitto anche a costo di sacrificare non solo se stessi, ma ancor di più gli altri. Il fine, in questo caso, non giustifica i mezzi, che consistono nel sacrificare il nostro pianeta e nell’utilizzare forza lavoro a “basso costo”, o meglio, sfruttata. E allora il rischio è che anche un capo “sostenibile” venga chiamato così solo perchè allineato alla moda (pun intended) del momento, anche se l’unico aspetto che si potrebbe sostenere è che sia in-sostenibile. Intollerabile, inaccettabile e ingiustificabile, soprattutto per quei (tanti!) abitanti della Terra che ricercano a tutti i costi (non solo bassi) alternative, una volta per tutte, sostenibili.
Costi ambientali (e non)
Secondo il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite, l’industria della moda produce tra il 2 e l’8% delle emissioni globali di anidride carbonica. Non solo: l’industria della tintura tessile costituisce la seconda maggiore fonte di inquinamento delle acque al mondo (per la presenza di microplastiche). Se non dovessimo cambiare le nostre abitudini e consumi, entro il 2050 l’industria tessile sarà responsabile del 25% delle emissioni di anidride carbonica al mondo. Come se non bastasse, a tutto ciò si somma l’enorme costo umano.
Il nostro ruolo
Ovviamente la spinta verso questo cambiamento non può spettare solo a noi, singoli consumatori. O forse sì? Da un lato, c’è da dire che non ci comportiamo ancora benissimo: solo il 15% dei vestiti usati dai consumatori viene riciclato, e di questi solo l’1% diventa un capo nuovo, al contrario ben il 75% dei capi inutilizzati viene riciclato dai produttori. In media, una persona compra ogni anno il 60% in più di capi, e li utilizza per circa 5 anni e 5 mesi, la metà rispetto a 15 anni fa, generando enormi quantità di rifiuti. Mentre i vestiti sintetici potrebbero impiegare tra i 20 e i 200 anni per decomporsi, praticamente il 95% dei tessuti potrebbero essere riciclati!
Resta comunque vero che il cambiamento può partire dai consumatori, ma deve essere abbracciato da parte di tutti. Le aziende di fast fashion inseguono le mode del momento, rapidissime a cambiare e inesorabili nel divenire irrimediabilmente vecchie e non più socialmente interessanti. In questo continuo rincorrersi, risulta semplice e ben adattabile a una vita frenetica il continuo ricercare e acquistare quasi spasmodicamente quel capo che vorrebbe sempre essere perfetto, e che in realtà non lo è mai. Peccato che lo scopriamo subito dopo averlo ricevuto da quel corriere che per star dietro ai tempi ridottissimi dei cambiamenti delle mode dovrà iniziare a spostarsi su una Delorian volante, sperando di tornare indietro nel tempo perché quello sembra essere l’unico modo per potersi riposare un po’, prima del nuovo cambiamento. Il tutto, ovviamente, a prezzi ridicoli, almeno apparentemente. Già, perché se il prezzo non lo paga il consumatore, molto spesso lo paga qualcun altro…
E allora ritorniamo a noi, consumatori e attori principali della scena che stiamo mettendo in atto. Se il cambiamento non parte dal singolo, forse può partire da una folla di singoli. Per contrastare gli sprechi, l’inquinamento, i problemi sociali, dovremmo tutti cambiare mentalità. Quella della moda non è un’industria monouso, bensì un investimento a lungo termine. E dovrem(m)o imparare a consumare in modo più consapevole attraverso la riduzione, il riutilizzo e il riciclo. E qui, con Drip, proveremo a portare avanti queste idee, una goccia alla volta (“one Drip at a time”).
A presto,
Teo 🙂
Lascia un commento