Negli ultimi anni, le aziende della moda si sono trovate sotto pressione. Tra istituzioni, associazioni e consumatori, tutti sembrano concordi su una cosa: il settore deve ridurre il suo impatto negativo, sia a livello ambientale che sociale. Mica poco, eh?
Tra gli strumenti per portare avanti questo cambiamento, ci concentriamo su due dei temi caldi del momento: da una parte le nuove normative per regolare produzione e consumo, e dall’altra le proteste dei lavoratori, che raccontano storie di sfruttamento nelle filiere del fast fashion. Questo video di Progetto Happiness parla proprio di quest’ultimo, tragico aspetto.
La dicotomia tra queste due forze – normative e proteste – sta ridefinendo il futuro della moda, ponendo nuove sfide e domande su come cambiare davvero. Ma… come fare?
Le proposte di cambiamento dei regolamenti in Francia
Da un lato, l’Unione Europea sta rivedendo le sue regolamentazioni sulle etichette tessili1. L’obiettivo? Trasparenza! I consumatori potranno scegliere in modo più consapevole2 sapendo non solo cosa c’è nei capi, ma anche quanto questi rispettino ambiente e persone. Anche il celebre “Made in Italy” a volte ci riserva sorprese…
La Francia, in particolare, è stata all’avanguardia con una legge contro il fast fashion3, volta a imporre una maggiore responsabilità sulle aziende che producono in modo non sostenibile. Questa legge mira a combattere la sovrapproduzione e la cultura del consumo rapido, costringendo i brand a migliorare la tracciabilità e l’impatto ambientale dei loro prodotti.
In particolare, il 14 marzo 2024 la Francia ha approvato una legge “da paura”, soprannominata “kill bill”, contro fast e ultra-fast fashion, colpendo colossi come Shein e Temu4. Obiettivo? Ridurre l’impatto ambientale vietando la pubblicità di alcuni giganti dell’ultra-fast fashion e imponendo loro sanzioni sempre più salate fino a 10 euro per capo entro il 2030. Inoltre, i negozi dovranno rendere ben visibili accanto al prezzo informazioni come riutilizzo, riparazione, riciclo e impatto ambientale del prodotto.
Emily Stochl5, vicepresidente di Remake, un’associazione per la moda sostenibile, ha fatto notare che i prezzi del fast fashion sembrano bassi solo perché mascherano costi ben più alti, come i salari inadeguati ai lavoratori. Un po’ come le campagne anti-pubblicità sul tabacco degli anni ‘70, questa legge prova a mettere il freno a una moda “usa e getta” che finora è costata cara al pianeta.
La Situazione di Prato: Tra Sfruttamento e Proteste
6E nel frattempo, a Prato, i lavoratori scendono in piazza7 contro ritmi di lavoro disumani e salari bassi. Qui sindacati come SUD Cobas stanno alzando la voce per far emergere la disconnessione tra le nuove regole e la dura realtà quotidiana delle fabbriche. Nonostante il quadro normativo in evoluzione, lo sfruttamento è ancora ben radicato e persino i diritti umani finiscono spesso in secondo piano.
La dicotomia tra teoria e pratica
E quindi? Siamo di fronte a una bella sfida: da un lato ci sono leggi e regolamenti che mirano a migliorare sostenibilità e trasparenza; dall’altro c’è la realtà di tanti lavoratori che vivono ancora in situazioni ben lontane dai bei propositi. Per Kathleen Talbot, responsabile sostenibilità di Reformation, misure come quelle francesi sono un passo necessario per affrontare il problema, ma c’è ancora da fare8 per supportare anche le comunità del Sud del mondo che sopportano l’impatto peggiore di questo modello produttivo.
Le proteste a Prato mostrano che le battaglie contro il fast fashion non riguardano solo l’ambiente, ma anche la giustizia sociale. Fino a quando le aziende non adotteranno pratiche sostenibili in modo onesto, con un impegno reale per garantire condizioni di lavoro dignitose, il fast fashion continuerà a prosperare, a scapito sia dei lavoratori che dell’ambiente.
Conclusione: un cambiamento necessario, ma difficile
Perché la moda cambi davvero, è necessario un approccio integrato che unisca regolamentazione, consapevolezza dei consumatori e protezione dei diritti dei lavoratori. La revisione delle leggi europee è un passo nella giusta direzione, ma deve essere accompagnata da un controllo rigoroso della catena produttiva e da sanzioni concrete per chi viola i diritti umani. Le proteste di Prato ci ricordano che non basta fare scelte consapevoli come consumatori: è necessario un cambiamento strutturale che vada oltre le etichette e affronti le disuguaglianze alla radice.
Il futuro della moda sostenibile richiede non solo norme e regolamenti, ma un cambiamento culturale e sistemico, che metta al centro la dignità dei lavoratori e la salute del pianeta. E se vogliamo una moda che cambi veramente il mondo, serve far crescere un mix di regolamentazione, consapevolezza dei consumatori e difesa dei diritti dei lavoratori.
- https://www.milanounica.it/it/e-tempo-di-cambiare-il-regolamento-ue-sulle-etichette-tessili ↩︎
- https://europa.eu/youreurope/business/product-requirements/labels-markings/textile-label/index_it.htm ↩︎
- https://www.elle.com/it/moda/ultime-notizie/a60227485/nuova-legge-francia-contro-fast-fashion/ ↩︎
- https://www.bbc.com/worklife/article/20240320-france-bill-crackdown-ultra-fast-fashion-shein-temu ↩︎
- https://www.emilymstochl.com/ ↩︎
- https://www.firenzetoday.it/cronaca/prato-aggressione-operai-seano-sindacalisti.html ↩︎
- https://www.editorialedomani.it/fatti/prato-sciopero-lavoratori-moda-tessile-contro-sfruttamento-proteste-sudd-cobas-qraxozhb ↩︎
- https://www.bbc.com/worklife/article/20240320-france-bill-crackdown-ultra-fast-fashion-shein-temu ↩︎
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